
"Fu egli di statura grande, ben formato e di bel colore e temperamento; era maestoso insieme ed umano, e nobile di maniere e di abiti, solito portare collana d'oro al collo e cavalcare per la città come gli altri cavalieri e persone di titolo, e con questo decoro il Rubens manteneva in Fiandra il nobilissimo nome di pittore."Così Bellori nelle sue Vite dé pittori, scultori ed architetti moderni del 1672 descrive Pieter Paul Rubens, uno fra i pittori fiamminghi più famosi e più celebrati in assoluto, dotato si di uno straordinario talento pittorico ma anche di un innato talento a conquistarsi la benevolenza dei potenti.
La prima opera che scelgo fa parte della splendida collezione della Alte Pinakothek di Monaco dal titolo molto semplice I due satiri; Rubens si diletta spesso nella rappresentazione di questa ambigua figura mitologica e lo fa in modo "divino" : in questa versione il fauno principale tiene in mano un grappolo d'uva mentre l'altro beve avidamente da una coppa; ma ciò che è veramente "stunning" è lo sguardo lascivo, sensuale, ammiccante, quasi mefistofelico.
Un'altra sua opera mi è molto cara perché è una delle poche memorie della Battaglia di Anghiari di Leonardo, del salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, misteriosamente perduta; l'opera di Rubens del 1603 si basava su di un'incisione di Lorenzo Zacca che a sua volta derivava dal dipinto stesso o da un suo cartone. Sicuramente Rubens ha tradotto la stessa furia, la stessa concentrazione di figure agitate, il pathos simile al cartone di Leonardo.
Come non vedere la somiglianza fra l'Ercole nel giardino delle Esperidi della Galleria Sabauda di Torino e l'Ercole Farnese di Napoli! Rubens aveva studiato la statua romana a Roma, a quell'epoca collocata nel giardino di palazzo Farnese, ed in questo potente dipinto raffigura l'eroe semi divino nell'atto di sottrarre alle Esperidi i Pomi d'oro, mentre un roseo Cupido gli svolazza accanto.
Nella statua di matrice ellenistica del III secolo d.C. Ercole possente si riposa dalle sue "fatiche" stringendo sempre in mano dietro la schiena i pomi delle Esperidi, geniale la posizione della gambe, si appoggia sulla destra con la sinistra in avanti ed i piedi quasi si affiancano.
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Cambiamo registro, torniamo ad una storia al femminile perché sempre legata al tema della lascivia, Susanna ed i vecchioni di Artemisia Gentileschi probabilmente aiutata dal padre Orazio. La bella tela che si trova nella collezione Graf von Schonborn a Pommersfelden in Germania risale al 1610 e già dimostra le doti pittoriche della giovane Artemisia, che avrebbe poi provato sulla sua pelle l'oltraggio rappresentato nel quadro. Mentre stava facendo il bagno Susanna venne infastidita da due uomini anziani amici del marito ai limiti dell'abuso sessuale. Per riuscire ad avere i suoi piaceri andarono dal marito a dire che lei aveva un amante ma la verità venne a galla ed i due laidi mascalzoni vennero smentiti. La rappresentazione è molto semplice, con i tre personaggi posti a piramide, senza ancelle, senza fontane, protagonisti la nudità di Susanna e la lascivia dei due vecchi.
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La Medusa del Caravaggio viene collocata quasi alla fine del percorso museale degli Uffizi, il visitatore è sopraffatto da tanta bellezza precedente e forse passa di sfuggita davanti a questo capolavoro!Come tutti sanno lo sguardo della Medusa ha effetti paralizzanti in chi la guarda, essendo lei una delle tre Gorgoni figlie dei mostri marini Forco e Ceto, l'unica a non essere immortale. Fu il Cardinal del Monte a commissionare al Merisi uno scudo da donare al Ferdinando I de Medci. Il paragone viene spontaneo con la testa mozzata della Medusa del Cellini sotto la Loggia dei Lanzi dove nella sua immobilità è chiaro che adesso non è più ciò che era, il voto immobile, la bocca chiusa, le palpebre abbassate testimoniano che si è estinta, che non è più. Caravaggio agisce diversamente: Medusa è ancora piena di vitalità, gli occhi sbarrati, la bocca urlante, il groviglio di vipere sembra impazzito, ed il sangue cola a fiotti sul collo. Quindi Vi prego fermatevi di fronte alla Medusa, giratele intorno, l'esperienza è davvero totalizzante.
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E' impossibile non rimanere esterrefatti di fronte alla Deposizione di Jacopo Carrucci detto il Pontormo in Santa Felicita a Firenze, opera che il Vasari criticò aspramente per i colori usati, non gli piacque il risultato bizzarro " per ciò che pensando a nuove cose la condusse senz'ombre ed un colorito chiaro e tanto unito che a pena si conosce il lume dal mezzo et il mezzo dagli scuri." E non piace a tutti, ad esempio non piace a mio figlio Leonardo a cui questo nitore da proprio fastidio, mentre io ne sono affascinata, perché per me è veramente rivoluzionaria, una tecnica anti accademica. Ed oggi a maggior ragione in quanto si è scoperta la tecnica del Pontormo: non ha usato la tecnica ad olio ma ha impastato i pigmenti e le polveri con le uova fresche e così ha resi gli incarnati più chiari, anche alla luce di uno splendido lavoro di restauro.



L'impressione che si prova di fronte al monumento funebre di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia è davvero forte; hai la bellissima sensazione di trovarti di fronte ad una bellissima ragazza scomparsa nel fiore dei suoi anni. Emozionò al suo tempo il Vasari che scrisse." Jacopo di leccatezza pulitamente il marmo cercò di finire con diligenza infinita." L'opera fu subito apprezzata per la levigatezza del volto della giovane donna e per la raffinata cura dei particolari, per la foggia degli abiti alla moda del tempo; il vedovo Paolo Giunigi, Signore di Lucca nel 1400, alla morte dell'adorata moglie Ilaria del Carretto a soli 26 anni, incaricò lo scultore Jacopo della Quercia di ritrarre Ilaria come se dormisse, su un bellissimo sarcofago dalla foggia romana, con ai piedi un fedele cagnolino. E l'artista senese la rese immortale!
Tanti poeti furono da lei affascinati: D'Annunzio recita:"...e la città dell'arborato cerchio, ove dorme la donna del Guinigi...ora dorme la bianca fiordaligi chiusa nè panni stesa in sul coperchio del bel sepolcro.." Pure Salvatore Quasimodo scrisse l'ode Davanti al monumento d'Ilaria del Carretto:"...e tu tenuta dalla terra che lamenti. Sei qui rimasta sola..."
Ma bellissimi sono i versi di Pier Paolo Pasolini in Appennino da Le ceneri di Gramsci:
"E' assente dal suo gesto Bonifacio, dal reggere la fionda nella grossa mano di Davide, e Ilaria, solo Ilaria...Dentro nel claustrale transetto come dentro un acquario, son di marmo rassegnato le palpebre, il petto dove giunge le mani in una calma lontananza. Lì c'è l'aurora e la sera italiana, la sua grama nascita, la sua morte incolore. Sonno i secoli vuoti: nessuno scalpello potrà scalzare la mole tenue di queste palpebre.Jacopo con Ilaria scolpì l'Italia perduta nella morte quando la sua età fu più pura e necessaria."
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